06 maggio 2007

Il cervello non è multimediale

Ci stiamo abituando all'attenzione multipla. Forse troppo
Il cervello non è multimediale
Le ultime scoperte di come il nostro organo principe fa fronte all'era digitale. Il 50% dei giovani usa il cellulare mentre guida

L'era del consumatore «anfibio» che divide l' attenzione fra uno spot televisivo, una pagina web, un sms e, magari, qualcos'altro ancora, è iniziata. L'arte di fare molte cose alla volta (per ridurre all'osso il concetto che gli americani chiamano multitasking) sembra legata a filo doppio al bombardamento delle tecnologie della comunicazione: alzi la mano chi non parla al telefonino mentre guida, o mentre legge le email.
Ma quest'attenzione smozzicata per un singolo compito, il sovvertimento del vecchio «qui e ora» non riduce efficienza e concentrazione? Probabilmente sì, visto che il nostro cervello ha selezionato nell'arco di millenni la capacità di concentrarsi su una cosa sola per volta (e non sembra disposto per ora a cambiare attitudine).

COLLO DI BOTTIGLIA - Succede allora che, quando crediamo di prestare attenzione a due eventi in contemporanea, in realtà attiviamo l'attenzione e diamo risposta soltanto al primo; quando quest'operazione mentale si è conclusa, ci dedichiamo all'altro. Un «collo di bottiglia» nella selezione delle risposte che assomiglia ad una strada stretta dove arrivano due automobili: insieme non possono passare, avanza prima una, poi l'altra. La dimostrazione di questo risale, addirittura, ad esperimenti del 1952.
Il multitasking allora rischia di rovinarci la vita perché tracima qualsiasi possibilità di concentrazione e ci espone ad uno stress «biologico». Ne è convinto René Marois, psicologo alla Vanderbilt University di Nashville sulla scorta dei suoi esperimenti. Uno di questi, forse il più importante, pubblicato nel dicembre scorso sulla rivista Neuron, è quello con cui il ricercatore avrebbe scoperto dove si nasconde nel cervello il famoso «collo di bottiglia».
Mettendo a nudo con la risonanza magnetica il cervello di un gruppo di volontari che dovevano scegliere fra otto possibili risposte a compiti proposti in contemporanea, Marois ha identificato due aree della corteccia cerebrale, situate nelle aree frontale e prefrontale, che svolgerebbero un ruolo chiave nel posticipare una risposta rispetto ad un'altra quando gli stimoli sono molto ravvicinati. «Conferma una ricerca, cui ha partecipato anche il nostro gruppo, pubblicata sulla rivista Nature qualche anno fa — commenta Pietro Pietrini, psichiatra e neuroscienziato dell'università di Pisa —. Dimostrammo che quando ci vengono assegnati compiti via via più complessi, a livello cerebrale si assiste all'attivazione progressiva della corteccia cerebrale proprio nelle aree identificate poi da Marois».

ALLENAMENTO - Il nostro cervello avrebbe, in sostanza, un limite «biologico» di risposta che non si può forzare oltre una certa soglia. Ma, come al solito, c'è chi sostiene che si tratti di un'ipotesi riduttiva e pessimista.
In effetti, gli esperimenti di David Meyer, psicologo all'Università del Michigan ad Ann Arbor hanno messo in evidenza che con un allenamento forzato (almeno 2000 tentativi) alcune persone riescono a svolgere due mansioni nello stesso momento con la medesima abilità con cui le avrebbero fatte in successione. In sostanza Meyer è convinto che esista nel cervello un vero e proprio processore del multitasking, o perlo meno del dualtasking, che «sceglie» e modula la successione delle risposte in base alle priorità del momento e ad un'inclinazione individuale. Ci sarebbero cervelli più cauti e altri più temerari (senza, a quanto sembra, differenze significative fra uomo e donna, una volta tanto). Qualcosa di molto più plastico, ma soprattutto plasmabile, del collo di bottiglia identificato da Marois. «Senz'altro c'è una variabilità individuale — precisa Pietrini —. Basti pensare ad un fatto banale: se noi chiediamo per strada a qualcuno che ore sono, c'è chi si ferma per guardare l'orologio e chi lo fa senza sostare. Evidentemente nel secondo caso c'è una certa capacità di dualtasking».
Che per ora il dualtasking ci rimanga arduo lo dimostrano le statistiche sugli incidenti stradali: in Gran Bretagna, nel 2005, 400 persone hanno pagato con traumi gravi l'insana passione di telefonare in macchina senza l'auricolare, numero che sale a 330.000 negli Stati Uniti (dati della Ergonomic Society di Santa Monica, in California). «In Italia — informa l'epidemiologo Marco Giustini, esperto dell'area traumi dell'Istituto superiore di sanità — le ricerche che abbiamo fatto ci dicono che un 6-8 per cento degli incidenti automobilistici è dovuto all'uso del cellulare. E che dire dei pedoni? Uno su 18 attraversa la strada parlando al cellulare, nell'80 per cento dei casi in totale distrazione».

Franca Porciani - Corriere della Sera

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