31 ottobre 2007

La Merkel ci sbatterà fuori dall’euro

di Maurizio Blondet

Le pressioni di Sarkozy per convincere Angela Merkel ad una politica monetaria più lasca sono state inutili: «Preferisco un euro forte ad un euro debole», ripete il ministro tedesco delle Finanze, Peer Steinbruck.
I Paesi europei del Mediterraneo boccheggiano schiacciati dalla competizione del dollaro che ha perso il 60% sull'euro dal 2001.
La Germania non se ne cura.
Ha strizzato le paghe nazionali dei suoi disciplinati lavoratori sì da recuperare il 40% in competitività del costo del lavoro rispetto all'Italia, il 30% rispetto alla Spagna, il 20% sulla Francia.
Così, ci ha portato via quote di mercato: proprio a noi, i mediterranei.
E' una politica deliberata, secondo Ambrose Evans-Pritchard (1), uno dei migliori analisti economici (del Telegraph).
«Non dimentichiamo che Francoforte ha tenuto i tassi al 2% fino a novembre 2005, indifferente all'aumento della massa monetaria in Europa (M3) perché allora faceva comodo alla Germania».
L'economia tedesca è stata infatti in stagnazione negli anni '90, e aveva perciò bisogno di un euro debole e a basso costo.
Ma con ciò, ha condannato il Sud Europa ad artificiosi «boom» che erano bolle finanziarie e speculative, alimentate dal denaro facile.
Adesso la Germania è il solo Paese europeo ad avere un avanzo commerciale, una fiscalità in rodine, e teme solo una cosa: l'inflazione dei prezzi interni, che posso far perdere la pazienza ai suoi lavoratori, che pazientemente hanno accettato tagli dolorosi a salari e pensioni.
Perciò, Berlino appoggia Trichet (il governatore della Banca Centrale Europea) nel rifiuto ad adeguare l'euro al calo del dollaro.
«A fine anno l'inflazione tedesca può crescere fino al 3%», dice Axel Weber, capo della Bundesbank: «La politica monetaria non deve perdere di vista il suo obbligo primario [la stabilità dei prezzi] , anche se ciò significa una crescita meno robusta».
Ma ciò che in Germania è crescita «meno robusta», sul Mediterraneo è «crocifissione», nota Evans-Pritchard.

In Spagna, il denaro facile fino al 2005 ha alimentato un patologico boom immobiliare, a prezzi astronomicamente crescenti.
Ora, la posizione dura tedesca sta facendo scoppiare la bolla iberica: a Siviglia il prezzo degli immobili è calato del 4,1% in un solo trimestre, a Madrid quasi l'1% e a Barcellona lo 0,5%.
Peggio: dopo la crisi dei sub-prime americani e la conseguente stretta sul credito, il 98% dei mutui spagnoli devono pagare molto più del tasso Euribor, con la prospettiva di insolvenze e pignoramenti a valanga.
«E' l'inizio di una catastrofe», diagnostica Bernard Connolly, analista globale per la Banque AIG.
Tanto più che l'economia spagnola è debolissima, e ha un deficit dei conti correnti salito al 9% del PIL.
La Grecia, con lo stesso problema, sta peggio: il deficit dei conti correnti là è del 10,5%.
E questo, commenta il giornalista britannico, non è colpa di presunti comportamenti da «cicale» dei mediterranei.
E' l'effetto del boom artificiale creato dal diktat tedesco degli anni '90 (più massa monetaria), ed ora devastato dal diktat tedesco uguale e contrario (ridurre la massa monetaria) del 2007.
L'euro proibitivo (non solo sul dollaro, ma ancor più sulle valute asiatiche, dirette concorrenti) sta dissanguando la Francia.
Anche lì i prezzi della case sono in caduta.
Una grande fabbrica di giocattoli, la Smoby Majorette del Jura, ha chiuso non potendo sostenere la concorrenza cinese.
Nella stessa regione, il gruppo Manzoni-Bouchto (parti d'auto) è fallito per lo stesso motivo.
I colossi francesi si salvano per il momento facendo «hedging» sulle valute con i derivati: ma il costo di queste spurie «assicurazioni», ovviamente, sta aumentando fino a diventare insostenibile.
«L'euro è diventato un handicap terribile», secondo Christian Streiff, della Peugeot-Citroen.
Anche l'Irlanda - che non è sul Mediterraneo - è ferocemente colpita dalla valuta ultra-forte.
Ieri, col denaro facile, ha conosciuto un incredibile boom economico.
Oggi è nei guai grossi, perché commercialmente dipende dagli USA, e da investimenti USA.
Tutto ridotto al lumicino dal calo del dollaro e dalla crisi finanziaria americana che sta diventando recessione.
In Irlanda, la recessione è già cominciata: la crescita del PIL è già negativa -1,4% nel secondo trimestre.
Da sei mesi i prezzi immobiliari calano ineluttabilmente.

Quanto all'Italia, «ha fatto meglio di quanto si temeva», riconosce Evans-Pritchard.
«O per lo meno, l'ostrogota 'Padania' a nord del Po ha tenuto botta».
Ma ora, con l'euro ad 1.44 dollari, gli ordinativi nuovi cominciano seriamente a mancare; le aziende limano i loro margini, ma c'è un limite a tutto.
«Una cosa è una valuta forte. Tutt'altra cosa è un tasso di cambio completamente avulso dall'economia reale», dice Francesco Peghin dell'associazione industriali di Padova.
Ma la Germania, nella sua imposizione, ha dietro di sé Austria, Olanda e Finlandia.
Dall'altra parte, c'è solo Sarkozy.
Ciò perché i governi della cosiddetta «sinistra» mediterranea in Spagna e Italia, Zapatero e Prodi, non hanno alcuna intenzione di dare una mano al gaullista di sedicente «destra».
In più, sono euro-fanatici: Prodi, che ha fatto la sua gloria dell'aver trascinato l'Italia nell'euro (posizionando la lira ad in livello irrealistico: causa primaria dei nostri mali), non ha alcuna inclinazione ad associarsi alle critiche di Sarko alla Banca Centrale.
Così Sarko è isolato.
Anche se ha perfettamente ragione quando accusa la BCE di aprire i rubinetti al massimo per gli speculatori (con le famigerate «iniezioni di liquidità») mentre strangola l'industria, l'economia reale e i salariati.
Jean-Claude Trichet, dalla poltrona della BCE, sicuro della complicità americana a cui sta rendendo il più grande servizio, e del sostegno tedesco, può anche fare il galletto.
All'ultima riunione del G7 ha apostrofato Sarko: «Avete mai sentito il presidente USA parlare dei tassi d'interesse della Federal Reserve?».
Persino il massonico Le Monde (2) nota che Sarko avrebbe dovuto rispondere: «Avete mai sentito il presidente della Federal Reserve parlare del dollaro?».
Mai e poi mai, perché la politica del cambio è prerogativa della Casa Bianca - l'organo politico esecutivo - e non dell'organo tecnico, la Banca Centrale.
La svalutazione, in USA, è una decisione politica, come del resto in Cina e in Giappone, dove si manipolano i cambi secondo convenienza.
In Europa appartiene ad una burocrazia robotizzata che obbedisce alla sua teoria che si pretende «neutra».

Si noti che persino nella UE la sacrale «indipendenza» della Banca Centrale è limitata dall'articolo 104 di Maastricht, che Sarkozy potrebbe invocare.
Se non fosse solo.
La speranza, conclude Evans-Pritchard, è che gli euro-entusiasti della «sinistra» mediterranea, ossia Prodi e Zapatero, perdano il governo abbastanza presto, e il francese - che ha spesso parlato di una Unione Mediterranea - trovi qualche alleato per forzare un cambiamento nelle politiche di Trichet (oggi il vero governante d'Europa, ma per conto di Bush).
Ma quanto tempo ci vorrà?
E poi, basterà la fantastica Unione Mediterranea, di fronte ad una situazione monetaria assurda, i cui problemi sono più fondamentali e radicali?
«La rottura è il risultato prevedibile dell'aver incollato insieme due vecchie culture d'Europa, ciascuna con diverse strutture salariali, diversi cicli economici e sensibilità ai tassi d'interesse, diverse vie commerciali, in una unione monetaria prematura priva di un ministero centrale del Tesoro», scrive il britannico: «E tutto ciò è stato fatto per la volontà tutta ideologica di accelerare a forza non si sa quale federalismo europeo, contro i pareri negativi degli economisti della Commissione».
Peggio ancora: non è mai stato chiesto ai tedeschi se volevano fondere il loro amato marco nel miscuglio comune con lira e peseta.
E' apparsa una furberia evitare un referendum - come tante volte nell'eurocrazia.
Ma ora la furberia si ritorce contro tutti: i tedeschi mica accetteranno l'inflazione e la perdita del potere d'acquisto senza contraccolpi nella politica.
E' il vecchio fondamentale problema: deficit di democrazia.
A cui si è creduto di poter porre rimedio con un parallelo deficit di politica, mettendo l'Europa in mano al pilota automatico della BCE.
Ma la divergenza di interessi ora è tale, che il nodo viene al pettine.

Il governo Merkel - che non sa come rispondere ai suoi lavoratori sacrificati - appare dispostissimo a scuotersi di dosso i paesi del Mediterraneo.
E' possibile che voglia arrivare fino alla spaccatura: due Europe, due valute.
L'utopia ideologica europoide sta per naufragare per le più ottuse questioni non già d'interesse nazionale, ma di politica interna.
Un giorno, i posteri rideranno di questa incredibile idiozia.
Se avremo dei posteri.


Note
1) Ambrose Evans-Pritchard, «Germany coming up fast in Euro race», Telegraph, 29 ottobre 2007.
2) Pierre-Antoine Delhommais, «L'euro, une monnaie dépolitisée», Le Monde, 30 ottobre 2007.

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